L’uso va sfumando, dopo secoli è il caso di dire, ma molti ricorderanno come, in tempi non remoti, tra i regali classici per un battesimo venisse sempre proposto un cucchiaio, spesso personalizzato con le iniziali o un qualche fregio. La tradizione arrivava davvero da lontano: grosso modo dal sedicesimo secolo, quando il cucchiaio rappresentava un oggetto personale e d’uso, dato che i convitati portavano il proprio da casa. In tali circostanze, il possesso di una bella posata ricevuta come durevole dono al battesimo, garantiva una buona impressione. Lo si poteva paragonare a un accessorio “stiloso”.
Insieme al coltello, il cucchiaio ha la più lunga storia di strumento per la tavola: naturalmente nasce dalla necessità di raccogliere il cibo liquido, come il coltello da quella di dividere in piccoli pezzi carni e altro.
La sua forma riprende la concavità della mano, mentre il suo nome ha probabilmente origine latina, da coclea, ossia chiocciola, dal momento che il guscio veniva usato per la stessa funzione del cucchiaio nei banchetti antichi.
Nel corso della storia il cucchiaio ha cambiato molte volte foggia, fino ad assomigliare ad una coppetta nel medioevo, e a partire dal diciassettesimo secolo assume dimensioni variabili, con la grande divisione cucchiaio e cucchiaino e la diversificazione in base all’uso: da the, da sale, da brodo, da assenzio, da salsa, da marmellata, da punch…
Sulle tavole italiane di oggi i cucchiai più classici ed eleganti sono d’argento o d’acciaio , della semplice foggia da alcuni detta inglese o nelle forme legate agli anni aurei del design. Meno comuni, e poco pratici, gli elaborati pezzi in vermeil, che raggiunsero il massimo della moltiplicazione di usi e di stravaganza di modelli durante la Gilded Age americana, periodo di fine ottocento che vide la borghesia ansiosa di imporre mode sofisticate.
La più giovane forchetta e il vecchio cucchiaio, oltre a stare sempre divisi, ai due lati del piatto, nello stesso nome del galateo non vanno mai utilizzati insieme. Chiunque tenga a un minimo di “creanza” penserebbe a un incubo se il cucchiaio comparisse quando si mangia la pasta. Non esiste cosa più sgradevole, a tavola, di vedere un ospite che arrotola gli spaghetti nel cucchiaio. Anche il risotto va mangiato senza indugi con la forchetta: la regola muta solo nel caso di primi serviti in brodo.
Le norme bon ton per l’uso del cucchiaio risultano, semplicemente, dall’unione di senso estetico e senso pratico. Tanto per cominciare, non va scambiato con una pala per la neve, ovvero non va preso con tutta la mano, ma solo con tre dita; e non deve essere riempito troppo o tenuto in maniera malferma: il più lieve tremolio potrebbe generare una catastrofe.
Il movimento corretto, mentre si mangia, va dall’esterno all’interno: la zuppa si raccoglie sempre partendo dal bordo del piatto, andando verso il centro. Se la vellutata la volete gustare fino all’ultima goccia, le buone maniere consentono d’inclinare leggermente il piatto verso l’esterno, verso il centro della tavola, mai all’interno.
Se la zuppa è troppo calda, si attende, mai si soffia. Del resto, anche il palato ringrazierà per la giusta temperatura.
