C’era una volta una cattiva ragazza che andò in più occasioni in Paradiso. C’era una volta, ma noi possiamo incontrarla ancora : nella nicchia in penombra di una chiesa della Valle Scrivia o della Val Lemme, o nell’ondeggiare emotivo e accaldato di una processione estiva, uno di quei momenti caricati di tradizioni quasi inconsapevoli, che richiamano i sensi, coi profumi di fiori un po’ sfatti e dei velluti delle mantelline delle confraternite, il tintinnio dei cantonali, gli ornamenti metallici che accentuano l’effetto scenografico dei grandi Cristi lignei, il sapore o il solo ricordo dei dolci e delle fritture dei giorni di festa patronale. Ha lo sguardo tranquillo, i capelli raccolti, le mani salde di una donna abituata a svolgere molti lavori: e non era davvero una ragazza cattiva, ma una giovane poco convenzionale agli occhi della gente dei suoi tempi, che amò il suo lavoro, lo studio, ebbe soddisfazioni artistiche, una relativa autonomia, e incoraggió altri gesti femminili. E il Paradiso? Facciamo un passo indietro, e procediamo con ordine.
Rosa Bacigalupo nasce a Genova nel 1794: è figlia di un pittore con buoni contatti, Giuseppe, e il legame col padre la rende “diversa” e speciale fin dai primi anni. Trascorre il tempo in atelier, si macchia le mani degli oli e degli intrugli, traccia figure, scopre, sperimenta. Conosce la penombra fredda delle chiese, gli odori unici delle botteghe precluse a chi non maneggia i pennelli, la sensazione delle dita intorpidite dal lavoro. Suo padre le è maestro e alleato: quando la vista di lui si va sempre più indebolendo, Rosa si trasforma nella sua più preziosa assistente, fino a mutarsi in colei che compie i gesti che gli occhi di lui non sostengono più. Rosa affina anche la propria penna, e scrive una biografia artistica del padre, per la futura memoria del suo lavoro.
E, soprattutto, Rosa diviene artista tra gli artisti, dipinge soggetti sacri e scene mitologiche, ritratti, qualche paesaggio. Coi pittori e gli scultori parla una lingua comune, dialoga da pari.
Sposa uno scultore, un collega: Bartolomeo Carrea, nato nelle campagne gaviesi de La Centuriona, che solo la curiosità suscitata dalla sua precoce inclinazione artistica nella nobile famiglia Cambiaso ha allontanato dalla,apparentemente segnata, sorte di contadino. Nella Genova neoclassica, Carrea incontra artisti che sperimentano nuovi linguaggi ma sono memori della stagione barocca e della sua piena teatralità e delle grazie settecentesche capaci di far danzare nuvole e angeli nel marmo e nel legno, come in un minuetto.
Rosa e Bartolomeo si sposano: ed arriva il paradiso. Mi piace pensarli felici, accomunati nell’arte, anche se ben trent’anni li dividono. Di sicuro, la giovane Rosa, nello sguardo e nell’opera del più maturo sposo, diventa la ragazza che vola verso il cielo. In quegli anni il culto di N. S. Assunta è diffuso e radicato in molti centri: a Carrea vengono commissionate varie statue, e la Madonna è sempre lei, Rosa. Con i capelli castani e raccolti, il volto un po’ appuntito, diverso dalla eterea, bionda e rosea soavità spesso attribuita alle raffigurazioni religiose, tende all’eternità con gli occhi piccoli ma attenti, con le mani salde di vita e di lavoro. Si solleva tra nubi, drappi, ali angeliche come doveva alzarsi per rifinire una tela, per raggiungere un dettaglio in cui cercava perfezione. Così possiamo incontrarla: quelle statue sono nella chiesa parrocchiale di Arquata Scrivia, in quella di Vocemola, nell’oratorio dei Turchini a Gavi e in quello dei Bianchi a Serravalle Scrivia, nella magnifica Abbazia di Rivalta….
Rimasta vedova, Rosa continua a percorrere la sua strada di pittrice, e di stimata insegnante e componente dell’Accademia Ligustica. Sue opere si trovano nella cattedrale di Genova, alla Galleria d’arte moderna, nella stessa Accademia. Ci ha lasciato anche un autoritratto, in cui appare seria, quasi con ci piglio, forse tesa a dimostrare la sua credibilità in un mondo prevalentemente maschile. Purtroppo perduta è una serie di tele che le venne commissionata dalla regina Maria Teresa di Savoia, un tempo a Palazzo Tursi.
Amata dall’alta società, resta sempre un pochino anticonformista, almeno nell’incoraggiare altre donne a dipingere: dopotutto, lei sapeva che con l’arte è possibile alzarsi in volo.